Da dove viene la Befana? Le origini dell’Epifania

La befana, intesa come la vecchia signora che vola sulla sua scopa, la notte dell’Epifania, cioè tra il 5 ed il 6 gennaio, mettendo dolcetti nelle calze dei bimbi buoni, e carbone in quelle dei bambini cattivi, ha un’origine molto antica, precedente alla cristianità.

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Nella dodicesima notte dopo il Natale, (se fate i conti, esce proprio il 6 gennaio) nell’antichità si celebrava la morte e la rinascita della natura, proprio in un momento in cui le tenebre ed il freddo erano al culmine, facendo sembrare ben lontani i giorni soleggiati e pieni di fiori e frutti. Venivano accatastati fasci di sterpaglie e legname a cui veniva dato fuoco, allo scopo di rafforzare il potere luminoso del sole, rischiarando la gelida notte. A volte sulla pira veniva arsa anche la sagoma, fatta di paglia e vecchi stracci, di una vecchia.

Il rogo della “vecia”, che avviene a Verona durante l’Epifania nella piazza principale, sotto gli occhi di un vasto pubblico.

Il fatto che ciò accadesse proprio la dodicesima notte non è un caso, dodici sono infatti i mesi dell’anno, i raggi della ruota cosmica che gira, facendo alternare le stagioni e facendo morire e rinascere la natura.

Anche  nella nostra Epifania attuale si accendono roghi dove viene bruciata la vecchia, e questa usanza vede le proprie radici nell’antico culto pagano della triplice dea, entità dai tre aspetti di fanciulla, madre e vecchia, che rappresenta i momenti dell’anno e della natura. La primavera, quando sbocciano i primi timidi fiori, è collegata alla fanciulla; la matura estate, con frutti e raccolti, alla madre; mentre il gelido e sterile inverno è connesso alla figura della vecchia. Nei giorni più oscuri e freddi dell’anno, il rogo della vecchia innesca una specie di rito di rigenerazione, si propiziano giorni più caldi e fertili. In primavera, infatti, il ciclo si rinnoverà e la dea apparirà nuovamente sotto forma di fanciulla.

La madre, la fanciulla e la vecchia.

Proprio come la natura, anche la triplice dea segue un percorso stagionale, non per niente uno dei nomi più utilizzati per indicarla è Diana, la dea legata ai boschi, alla luna e agli animali. In questo nome però c’è molto di più, la sua radice è sempre legata a figure di dee madri, pensiamo alla bianca Danu dell’orzo celtica, patrona dei Thuatha de Danann, o alla cananea Anat, signora della fertilità, spesso assimilata a Demetra o Iside.

A ben pensarci, anche la Befana non ha un nome tanto dissimile, perciò quando bruciamo la vecchia in piazza, la sera del 6 gennaio, anche noi stiamo propiziando la venuta della bella stagione, aiutando la ruota cosmica a girare, e la vecchia a tornare fanciulla.

In tutto il mondo precristiano, ma non solo, durante queste notti, secondo culti di stampo agrario, avvengono processioni di spiriti che, appunto, lottano perché la luce torni a splendere, e spesso queste cavalcate notturne sono guidate dalla dea degli animali, Diana, e le sue seguaci sono simili a quelle che nel medioevo verranno additate come streghe, ovvero donne che conoscono i poteri naturali delle erbe e che spesso sono descritte a cavallo di scope.

Diana, dea della caccia, della luna e della natura.

Non potendo ignorare una tradizione così importante e sentita dalla popolazione, il culto cristiano l’ha assorbita, e con San Epifanio di Salamina, vescovo del IV secolo, l’Epifania, intesa come la manifestazione di Gesù (in greco la parola Epifania significa proprio manifestarsi) nella grotta di Betlemme divenne una festa istituzionalizzata anche nel calendario cristiano. Si dice che in quel giorno i tre Magi, che venivano da oriente, seguendo la luce di una stella, giunsero fino al divin bambino per adorarlo.

Ma chi erano questi Magi? Il termine li identifica come dei sacerdoti legati alla cultura persiana dello zoroastrismo, sapienti astrologi che, infatti, per arrivare fino a Gesù, seguirono proprio la guida di un astro. Questa religione era molto diffusa in Persia intorno al VI secolo a.C. ed i suoi principi fondamentali parlavano della lotta eterna tra due principi gemelli ma opposti: il dio della luce e del bene, Ahura Mazda, e il dio delle tenebre e del male, Angra Mainyu. Gli zoroastriani si affidano al loro profeta, Zarathustra che, per molti versi, essendo una figura che predicò la salvezza degli uomini, cercando di condurli verso la luce, fu simile a Gesù, perciò non c’è da stupirsi se i tre Magi, saputo della nascita del divin bambino, si misero in viaggio, percorrendo una grandissima distanza pur di conoscerlo e portargli ricchi doni.

Vai all’articolo completo sui re Magi. 

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Un interessante racconto di stampo cristiano cerca di integrare i due filoni, e ci narra che i Magi, cercando Betlemme, persero la strada, chiedendo indicazioni a una vecchia signora. Questa gliele diede, ma non si mise a sua volta in cammino per incontrare il piccolo bimbo prodigioso. In seguito se ne pentì, mettendosi in viaggio quando ormai era troppo tardi. Questa vecchina sta vagando ancora alla ricerca del piccolo Gesù e, non essendo riuscita a recargli qualche dono, li porta a tutti i bambini del mondo. Durante la notte dell’Epifania vaga per le strade, alla ricerca della grotta di Betlemme, e percorre così tanta strada che le si consumano tutte le calze e le scarpe: ecco perché si usa appendere delle calze (e, in alcuni paesi, mettere fuori le scarpe) per poi ritrovarle piene di dolci il mattino dopo. Servono nel caso in cui la vecchina avesse bisogno di un ricambio nel suo lungo peregrinare ma, anche quando non le servono, apprezza comunque il buon gesto e le riempie di dolciumi.

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Buona Epifania a tutti!

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