Samhain: il capodanno celtico, il giorno fuori dal tempo

Il 1 novembre il calendario gregoriano celebra la festa di Ognissanti, in onore di santi e martiri, canonizzati e non, mentre il giorno successivo è dedicato ad onorare i defunti. Un tempo però i santi erano festeggiati il 13 maggio, e fu solo nell’835 che la data venne cambiata in quella attuale.

Secondo alcuni studiosi, si scelse di modificare la data di questa festività per avvicinare alla chiesa le popolazioni neoconvertite, trasformando in un rito cristiano le celebrazioni di stampo pagano dalle quali avrebbero fatto molta fatica ad allontanarsi di punto in bianco.

Nel mondo celtico infatti si trattava di un momento importantissimo: Samhain decretava la fine dell’estate e dell’intero anno. I popoli dediti alla pastorizia ritiravano il bestiame e raccoglievano anche gli ultimi frutti della terra, preparandosi al rigido inverno. Sarebbe stato solo sei mesi dopo, durante la festività di Bealtaine del 1 maggio, che il sole e la terra avrebbero ripreso a dare dolci frutti.

Il giorno di Samhain era un momento di passaggio, non faceva parte né dell’anno vecchio e tantomeno di quello nuovo. Si trattava di un giorno che sui calendari non esisteva, e per questo aveva una valenza speciale, collocandosi fuori dal tempo, oltre il velo che separava il mondo dei vivi da quello dei morti. Gli spiriti dei defunti ed il popolo fatato dei sidhe infatti potevano varcare facilmente i cancelli tra i mondi, ed era perciò necessario non disturbarli e non farli adirare, quanto piuttosto meritare la loro benevolenza con offerte e sacrifici.

Questa festa ha origini antichissime, infatti una delle principali tombe neolitiche sulla Collina di Tara, sede del re sacro agli albori dell’Irlanda, è allineata con il sorgere del sole proprio nel giorno di Samhain.

Anche nelle leggende dei popoli celtici troviamo tracce di questo giorno, ad esempio nel Ciclo dell’Ulster, che racconta le eroiche imprese di Cu Chulainn. Il Táin Bó Cúailnge, ovvero il furto del toro di Cooley, avvenne proprio nel giorno di Samhain. Per saperne di più, scopri I Miti Celtici.

A Samhain l’eroe Fionn mac Cumhaill fece la sua comparsa a Tara, il colle del re sacro, sconfiggendo un malefico goblin che ogni anno, in quella notte specifica, usava la sua arpa per addormentare gli abitanti e ne approfittava poi per dar fuoco alle case. Con l’aiuto di una lancia incantata, che si diceva fosse appartenuta al dio solare Lugh in persona, riuscì a rimanere sveglio e a uccidere il suo avversario. L’abilità di Fionn, che era riuscito dove tutti gli altri avevano fallito, gli valse il titolo di Capitano dei Fianna. Le avventure di questi guerrieri leggendari, votati alla protezione dell’Irlanda sono narrate nel volume Racconti dei Fianna: gli eroi dei colli nebbiosi.

Era proprio dal sacro colle di Tara, posto al centro sia geografico che spirituale dell’Irlanda che partiva la catena di fuochi che divampava in tutta l’Isola di Smeraldo in occasione del capodanno celtico.

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Ma cosa si faceva, esattamente, durante questa festività?

Per propiziare il ritorno della stagione calda e fertile veniva acceso un grande fuoco, attorno al quale si radunava l’intera comunità. I focolari delle singole abitazioni venivano spenti e, dopo un momento di totale oscurità, in cui si riteneva che le forze provenienti dal reame fatato fossero vicinissime, quasi palpabili, erano accesi nuovamente con una scintilla proveniente dall’unico grande falò, in questo modo ogni casa sarebbe stata illuminata e riscaldata dalla medesima fiamma e tutto il villaggio si sarebbe sentito più unito.

Venivano compiuti anche piccoli gesti a scopo divinatorio, ad esempio si usava pelare una mela e gettare poi la buccia sulla spalla di giovani e fanciulle in età da marito. Se la buccia creava il disegno di una lettera, quella sarebbe stata l’iniziale dello sposo o della sposa che avrebbero conosciuto entro l’anno a venire.

Per le coppie già formate c’era invece un diverso rito, ovvero si arrostivano le nocciole sul fuoco e, se queste si ammucchiavano tutte assieme, la coppia sarebbe rimasta unita, se invece queste si sparpagliavano, anche la coppia si sarebbe divisa.

Mele e nocciole sono entrambi cibi tipici di questa stagione, oltre a essere considerate frutti appartenenti al reame oltre il velo nebbioso, cibo degli dèi capace di portare ispirazione e saggezza. Vi era anche un gesto divinatorio da compiere con il bianco delle uova. Esso veniva messo nell’acqua e dalla forma assunta si sarebbe intuito il numero di figli che una coppia avrebbe avuto. L’uovo è in tutte le culture un simbolo solare e di fecondità, in quanto al suo interno avviene il miracolo della nascita.

In tutte queste usanze è preponderante la necessità di garantire unità e fertilità, poiché si sapeva di andare incontro a giornate sempre più tenebrose e gelide, perciò si cercava di ottenere qualche buon auspicio per il futuro.

Un’altra tradizione presente sia nel mondo celtico che in quello gallese (che in tal caso, anziché chiamarsi Samhain, prende il nome di Calan Gaeaf ) riguarda il grande fuoco presso cui si riuniva tutta la comunità. Ciascuno doveva prendere una pietra e scriverci sopra il proprio nome, mettendola quindi a scaldarsi attorno al falò. Quando questo si spegneva, era importante tornare subito nelle proprie case, perché era quello il momento più pericoloso, quando gli spiriti erranti sarebbero stati attratti dalle tenebre.

Al mattino si tornava poi a raccogliere la cenere ancora tiepida e a controllare che le pietre fossero ancora tutte presenti. Se ne mancava una, la persona il cui nome era assente avrebbe presto trovato la morte.

Durante la notte, gruppi di uomini vagavano di casa in casa vestiti da spiriti e spettri. Il travestimento più comune era composto da lunghe lenzuola che lasciavano uscire solamente il teschio di un cavallo, ed era noto come Láir Bhán, la puledra bianca. In inglese è chiamata Night Mare, la cavalla notturna, la stessa parola che viene usata per indicare gli incubi, nightmares.

In effetti la visione di questa strana creatura poteva risultare molto inquietante… Immaginate di aprire la porta di casa, nel cuore della notte, e di trovarvi davanti una cosa simile a questa…

Nel dipinto di Füssli intitolato proprio Incubo possiamo notare la presenza di una cavalla bianca tra le creature che infestano gli angosciosi sogni della fanciulla.

Questo travestimento da un lato doveva confondere spiriti e fate, impedendo loro di fare del male a quelli che parevano loro simili, e dall’altro aveva il potere di propiziare il loro favore. Infatti gli uomini così travestiti bussavano di porta in porta, chiedendo cibo, mance, bevande alcoliche o offerte di ogni genere, e coloro che acconsentivano a donare qualcosa potevano assicurarsi di placare gli spiriti, mentre chi si rifiutava si tirava addosso le loro ire. Da questa tradizione nasce l’usanza americana del Dolcetto o scherzetto ancora praticata dai bambini durante la notte di Halloween, che trova le sue origini proprio nel Samhain celtico.

Sebbene non avesse le caratteristiche spettrali della sua controparte celtica, anche i romani adoravano una dea connessa ai cavalli, il suo nome era Epona. Era una divinità legata alla fertilità e al raccolto, nonché al benessere di cavalli, asini e muli, ma proprio come Demetra e le altre dee della terra, anche Epona ha un suo lato ctonio. I suoi cavalli infatti conducevano le anime dei defunti nell’aldilà. Il retaggio di questa dea è senza dubbio celtico, e alcuni studiosi ritengono che anche a Roma essa venisse festeggiata il 2 novembre, proprio nello stesso periodo in cui si celebrava Samhain.

In qualunque forma vi sentiate di festeggiarla, che la chiamiate Halloween o Ognissanti, Samhain o Calan Gaeaf, ricordate che lo scopo di questa antica festività stagionale celtica era simile a quello di Imbolc, Bealtaine o Lughnasad, ovvero celebrare il sole e il suo viaggio ciclico nel cielo, propiziando unità e benessere per tutta la comunità, ed in questo caso preparandosi ad affrontare il lungo inverno.

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